Perché

La necessità di una lingua inclusiva

L’italiano è una lingua flessiva, ovvero declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi e gli aggettivi, i participi passati. Questo rende molto più difficile che per le lingue isolanti, quale ad esempio è l’inglese, parlare in modo neutro rispetto al genere dell’oggetto del discorso.

Questo è causa di discriminazione nei confronti di numerose categorie di persone.

I motivi

Il privilegio maschile

Al singolare

Ogni volta che un uomo o una donna parlano di sé, della propria professione, di qualsiasi aspetto della propria identità o, semplicemente, di un’azione che hanno compiuto, in un linguaggio connotato per genere come l’italiano standard si trovano a dover dichiarare obbligatoriamente il proprio genere.

Questo, in una cultura dove il privilegio maschile è imperante, è fonte di oppressione.

Seppure sono legittime e condivisibili le battaglie di coloro, di genere femminile, che vogliono poter parlare della propria professione al femminile (ad esempio: avvocate, sindache, ministre), rimane il fatto che non esiste un’alternativa per coloro che non vogliano legare il titolo della propria professione al proprio genere, così come non esiste un’alternativa per coloro i quali, di genere maschile, vogliano compiere un piccolo atto politico per non connotarsi per genere. Anche per un uomo cis binario, parlar di sé in termini non connotati per genere è questo atto politico che rende esplicito il privilegio di genere e il volersene distanziare.

Al plurale

Ma ancora più evidente è il privilegio maschile quando ci si rivolga a un gruppo di persone di generi misti qualora anche unǝ solǝ componente del gruppo sia di genere maschile. In questo caso l’italiano standard prevede l’uso del cosiddetto “maschile inclusivo” che, ovviamente, è tutto fuorché inclusivo in quanto invisibilizza tutte le componenti non maschili del gruppo stesso.

Le persone non-binarie

Contrariamente alla percezione comunemente diffusa, i generi, sia dal punto di vista biologico che identitario, sono ben più dei due generi binari: maschio e femmina.

Esistono persone che, per caratteristiche cromosomiche o peculiari sensibilità biologiche agli ormoni, presentano caratteristiche che non si possono categorizzare strettamente in uno dei due generi binari. A causa della pressione sociale, alla nascita siamo tuttɜ categorizzatɜ in uno dei due generi binari e per questo motivo queste persone risultano pressoché invisibili.

Numerosi studi evidenziano tuttavia che siano tutt’altro che un’insignificante minoranza: probabilmente non sono fisiologicamente binarie già alla nascita circa il 2% delle persone – in pratica, più delle persone che hanno i capelli rossi, o più dell’intera popolazione della Russia. Molte di loro non lo sanno neppure e lo scoprono magari solo in seguito ad esami medici approfonditi.

Ma il sesso biologico non equivale al genere. Numerose persone, nonostante un corredo cromosomico binario e un’espressione fenotipica binaria corrispondente (ovvero un corpo che si è sviluppato in modo conforme a quanto accade nella maggior parte delle persone con quel particolare corredo cromosomico) non percepiscono il proprio genere come corrispondente a uno dei due generi binari – e neppure a quello opposto.

Altre ancora di queste persone, poi, decidono di intraprendere un effettivo percorso di transizione verso un genere diverso rispetto a quello loro assegnato alla nascita, ma il loro genere elettivo non è quello opposto a quello assegnato, ma un genere altro dai due generi binari.

Tutte queste persone si trovano a non poter parlare di se stesse in un linguaggio binario come l’italiano standard senza adattarsi a usare uno dei due generi binari, e questo può essere causa di invisibilizzazione della loro identità. Altrettanto, in italiano standard è impossibile per le altre persone parlare di loro in un modo non connotato per genere, e quindi rispettoso della loro identità.

La degenderizzazione del linguaggio

Nella nostra lingua non è possibile non parlare del genere delle persone cui ci riferiamo. Eppure, l’identità di genere è uno degli aspetti più sensibili dell’identità di una persona. E allora, crediamo che dovrebbe esser possibile poter dire di star andando dallǝ fruttivendolǝ o dallǝ meccanicǝ senza dover per forza parlare del modello di genitali di cui è dotatǝ o in che genere si identifichi.

Ma non esistevano già alternative?

Sì, da tempo ormai, negli ambienti più sensibili al tema dell’inclusività di genere, sono in uso varie forme di declinazione in senso inclusivo.

Le più comuni sono quelle in cui viene sostituita alla declinazione di genere il simbolo @ o *.

Il problema fondamentale è che ciò indirizza questa necessità solo nel linguaggio scritto, dato che entrambi i simboli non hanno un’equivalente pronunciabile.

Un’ulteriore alternativa è l’uso della u, unica vocale delle cinque “base” (se escludiamo le versioni aperte e chiuse) a non essere utilizzata per declinare né al maschile, né al femminile, né in forma singolare che plurale.

Questa proposta, secondo noi, ha due problemi fondamentali:

  • l’indeclinabilità al plurale (non esiste un sesto glifo vocalico utilizzabile);
  • la vicinanza fonetica con la o che, pertanto, crea uno squilibrio percettivo verso la declinazione al maschile delle parole.

Per questo motivo è nata questa ulteriore proposta, basata sulla schwa (ǝ) e sulla schwa lunga (ɜ), che è sia scrivibile che pronunciabile ed è declinabile sia al singolare che al plurale.

Perché questo nome

Sono stati pensati vari nomi per questa proposta. Una delle prime, italiano neutro, è stata soppiantata e sostituita con italiano inclusivo perché la terza declinazione, per noi, non implica l’assenza di un genere, ma l’inclusività di tutti i generi. Per questo ne proponiamo l’uso a chiunque, anche per i motivi di cui sopra: uomini e donne cis e trans, anche binariɜ, oltre ovviamente a chiunque non si identifichi in un genere binario.