16 settembre 2021 – Su MicroMega «Lo “schwa” al vaglio della linguistica», di Cecilia Robustelli

21 Settembre 2021 Off Di Italiano Inclusivo

La linguista Cecilia Robustelli ha scritto un lungo articolo sull’italiano inclusivo sul numero 5.2021 di MicroMega.

Robustelli aveva già avuto modo di scrivere sull’argomento, più sinteticamente, ad aprile scorso, allora sulla versione online di MicroMega, con un titolo che esplicita sin da subito la sua posizione: Lo schwa? Una toppa peggiore del buco.

Ma qui ci preme commentare l’ultimo, ben più approfondito articolo. Nel quale, purtroppo, Robustelli comunque sostanzialmente non cambia idea.

[…] il genere grammaticale ha, tra le altre sue funzioni, quella di innescare l’accordo (grammaticale) tra articoli, nomi, aggettivi e participi passati e di permettere che il testo (ma anche la frase) abbia quella “compattezza strutturale” che ne permette la coesione interna e quindi la comprensione

Ci chiediamo, dunque, come facciano tutti quei popoli le cui lingue non hanno genere grammaticale a comprendersi, in effetti: poverɜ turchɜ, armenɜ, azerbaijianɜ, estoni, finlandesi, giapponesi e tailandesi, tanto per citarne solo alcuni.

Senza neanche menzionare che noi non proponiamo l’abolizione del genere grammaticale, ma l’aggiunta di un’opzione in più, e di lingue con più di due generi ce ne sono a bizzeffe.

[…] il genere grammaticale in italiano (e non solo) viene assegnato agli esseri umani in base al sesso della persona cui si fa riferimento, non al genere […]

Ci chiediamo se Robustelli si sia mai confrontata con alcuna di quelle persone che hanno effettuato un percorso di transizione di genere non medicalizzato e abbia provato a rivolgersi loro secondo il genere grammaticale legato al sesso loro assegnato e non quello appropriato per la loro identità di genere. Credo che la reazione sarebbe stata sufficiente a farle capire che, quale che sia la teoria linguistica in proposito, oggi nell’italiano il genere grammaticale è correlato all’identità di genere, non certo al sesso.

[…] sostenere tout court che in italiano il genere grammaticale, articolato in maschile e femminile, deve essere eliminato perché riflette il binarismo di genere insito nella nostra società eterosessuale, e quindi rispecchia uno squilibrio di potere, attribuisce al genere grammaticale una funzione che sul piano linguistico gli è estranea.

Allora: innanzitutto vorremmo sapere dove Robustelli abbia trovato qualcunǝ che sostenga che il genere grammaticale debba esser eliminato tout court.

In secundis, chi mai ha sostenuto alcuna relazione fra il linguaggio binario e l’eterosessualità dominante nella nostra società: orientamento e genere sono due questioni distinte, e anche qui, come sopra, Robustelli evidenzia la sua ignoranza su una materia che è alla base del tema su cui scrive.

Ma in ultimo, e forse più importante: il fatto che il genere grammaticale non abbia la funzione di rinforzare lo squilibrio di potere non significa che, volente o nolente, tuttavia lo faccia, a partire dal maschile sovraesteso.

Con ogni probabilità, se lo schwa è alla fine di un nome o di un aggettivo, cioè nella posizione in cui ci si aspetta una desinenza, il nostro cervello, pescando dal suo magazzino semantico-concettuale, sostituirà il segno grafico sconosciuto con uno dei morfi che si aspetta di trovarci […] con una preferenza, dovuta alla maggiore vicinanza iconica tra “ǝ” ed “e”, per il femminile plurale.

Innanzitutto, uno dei tanti motivi (ancorché secondario) della scelta della schwa è proprio per la sua posizione “iconica” di mezzo fra la “a” e la “o”.

Inoltre, quanto da lei scritto sopra presuppone un fatto: che il segno grafico in questione sia sconosciuto. Cosa che è sempre meno vera, dato il dibattito ormai dilagante sull’italiano inclusivo. Sempre meno persone, vedendo la schwa, non sanno cosa ci stia a fare lì e cosa significhi.

La discussione femminista sulla rappresentazione del rapporto fra sesso, genere lingua e linguaggio […] è un obiettivo […] condiviso da tutto il movimento femminista, nel quale si riconoscono altre proposte per la sua realizzazione a livello teorico e nella pratica linguistica. Ne è un esempio la corrente che sostiene la necessità di mantenere nella lingua la dualità femminile/maschile espressa dal genere grammaticale e contesta apertamente la proposta di abolire le desinenze grammaticali e sostituirle con un simbolo: l’azzeramento della differenza sessuale e l’introduzione di una sorta di “neutro” vanificherebbero le battaglie fatte negli ultimi quarant’anni per la presenza e il riconoscimento delle donne nel linguaggio.

Di nuovo: noi di Italiano Inclusivo non proponiamo alcuna abolizione, anzi: sosteniamo il diritto di ciascuno, ciascuna e ciascunǝ a che si possa parlar di sé utilizzando il genere grammaticale nel quale più si riconosce. Ma creare una declinazione inclusiva (e non neutra, come non è neutro il singular they inglese, giacché it ha genere neutro e mai e poi mai verrebbe usato per una persona umana) serve proprio a far sì che anche chi non si riconosce in uno dei due generi binari possa sentirsi riconosciutǝ nella lingua. Cosa, in questo, ci sarebbe differenza nei principi rispetto alle battaglie fatte negli ultimi quarant’anni, se non per l’aggiunta di una nuova categoria, anch’essa discriminata?

Ma basterebbe che Robustelli leggesse una delle ormai numerose opere che fanno uso dell’italiano inclusivo – cosa che, evidentemente, non ha fatto – per rendersi conto che i timori da lei paventati non hanno alcun fondamento e che l’italiano inclusivo non è – se non, semmai, secondariamene – una questione linguistica, perché, come d’altronde lei stessa afferma in chiusura:

[…] ogni essere umano [ha] il diritto a essere rappresentato anche attraverso il linguaggio. Un proposito che richiama il diritto di rappresentazione delle minoranze e, più ampiamente, il diritto antidiscriminatorio, temi sui quali oggi è richiesta una competenza critica che travalica quella prettamente linguistica. Ed è a questi temi, in ultima analisi, che è necessario ricollegare la riflessione sul linguaggio inclusivo per motivarne oggi la discussione.