1 dicembre 2021 – Manuela Manera su FQ Extra: «Lingua e politica: chi sarà “lə nuovə presidente”?»
Nella newsletter A Parole Nostre de il Fatto Quotidiano Extra del 1° dicembre 2021 la linguista Manuela Manera scrive sul sessismo linguistico in politica.
Manera conosce e tratta l’italiano inclusivo già da tempo e ha anche menzionato questo sito nella bibliografia della sua recente opera La lingua che cambia, pubblicata da Eris Edizioni.
Anche in questo articolo non manca di ribadire che, nonostante sia comprensibile che un testo come la Costituzione italiana, redatto fra il 1946 e il 1947, faccia ampio uso del maschile sovraesteso, questo non è più accettabile oggi, perché
[…] non è possibile […] appellarsi alla stessa giustificazione per i testi contemporanei […] fingendo che quel maschile valga come neutro. Non c’è neutralità in una simile scelta, perché, in riferimento a un essere umano, il genere grammaticale maschile conduce il nostro pensiero a un corpo maschile […]
Nel 1946 ovviamente già esisteva il femminile nella lingua italiana, ma le raccomandazioni di Sabatini erano ben di là da venire. Ma oggi, quarant’anni dopo la Costituzione ma anche quasi quarant’anni fa, quelle raccomandazioni ci sono. Anzi, oggi, addirittura, esistono perfino proposte come la nostra per una lingua ancor più inclusiva, che non renda pari dignità solo ai due generi binari, ma a ogni genere. E non usarle, appunto, non può essere considerata più una scelta neutra:
Anche se sappiamo che “il” presidente della Repubblica è una carica che può essere ricoperta da soggettività diverse da quella maschile, queste abitano l’implicito, stanno nel sottobosco delle narrazioni […]
Ancor più interessante è l’analisi di Manera sull’effetto di una narrazione solo al maschile sull’inconscio:
[L]a normalità è incontrare l’espressione “il presidente della Repubblica” (uomo), più strano risuona “la Presidente della Repubblica” (donna), inaccettabile ancora “lə Presidente della Repubblica” (enby/queer; ma potrebbe essere usato in modo omnicomprensivo).
Per cui:
Se […] per un certo incarico nominiamo sempre e solo un genere, stiamo dando a quel genere un vantaggio in termini di visibilità e opportunità, perché sarà percepito come normale e familiare (perciò confortante) […] mentre sarà considerata come un’eccezione (e dunque, almeno inconsciamente, fonte di preoccupazione) avere una donna presidente. La lingua ci permette di nominare ciò di cui abbiamo fatto esperienza in passato e che incontriamo nel nostro presente; ma ha anche il potere di illuminare il nostro futuro, ampliando il nostro immaginario con nominazioni inedite, inusuali: le parole suggeriscono realtà possibili, frame narrativi nuovi.
Vorremmo citare praticamente tutto l’articolo di Manera, parola per parola, perché è davvero un piccolo gioiello nell’ambito della discussione relativa alla lingua più inclusiva; ma ci limiteremo, per chiudere, a questo:
Si può riformulare la domanda che così frequentemente ritroviamo nelle nostre giornate in modo più esteso: “Chi sarà la nuova presidente o il nuovo presidente?” o “chi sarà lə nuovə presidente?”. Questo […] sarà un prezioso contributo […] per evolversi verso una società meno sessista […] in cui il privilegio della nominazione (e la piena partecipazione alla vita politica, senza ricorrere a correttivi) non spetta solo al genere maschile.