Lettera aperta al Prof. Massimo Arcangeli, sulla sua petizione contro l’uso della schwa

19 Febbraio 2022 Off Di Luca Boschetto

Caro Prof. Arcangeli,

sono Luca Boschetto, la persona che si è “inventata” la declinazione inclusiva basata sulla schwa, a lei tanto invisa.

Vorrei ringraziarla di aver messo così ben in chiaro, nel suo articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, «le dieci ragioni per le quali [ritiene] inaccettabile l’immissione dello schwa […] nell’italiano corrente» perché, così facendo, mi agevola nel risponderle, punto per punto.

1. Serio pericolo di un’ “ufficializzazione”

Qui lei si riferisce al fatto che la nostra proposta di italiano inclusivo sia stata accolta «in sei verbali redatti dalla Commissione per l’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia del Settore concorsuale 13/B3 – Organizzazione Aziendale».

Questi verbali sono per lei stati, probabilmente, il casus belli, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ciò che le ha fatto metter mano alla penna per redigere l’ormai famosa petizione contro la schwa.

Su questo punto, purtroppo, tutto ciò che lei afferma è che «importare lo schwa in un testo “codificato” – un libro, un documento o un articolo di giornale» sarebbe, a suo giudizio «un’aberrazione linguistica».

Ci sarebbe piaciuto che lei argomentasse in maniera dettagliata sul perché sarebbe un’aberrazione. Vede: da parte di chi sostiene la necessità di un linguaggio inclusivo, il suo uso in documenti ufficiali comporta solo il serio pericolo che finalmente abbia fine una discriminazione ai danni del genere femminile e dei generi non binari. Pericolo che, ci auspichiamo, diventi realtà al più presto.

2. Impulso alla generalizzazione (gratuita)

Qui lei lamenta che i Commissari abbiano utilizzato la schwa non solo per superare il maschile sovraesteso (e pertanto discriminatorio) o per indirizzare persone non binarie, ma anche in riferimento a se stessɜ o a candidatɜ di genere binario.

Ora: i motivi per i quali nasce la nostra proposta sono tutti dettagliati nella pagina Perché del sito Italiano Inclusivo. Ma, per facilitarle la comprensione, le riporto qui il primo dei due motivi specifici per i quali una persona, anche se appartiene a uno dei due generi binari – soprattutto quello maschile – potrebbe desiderare che ci si rivolga a lei con la declinazione inclusiva, o che altrɜ possano desiderare di rivolgersi con la declinazione inclusiva a una persona, qualsiasi sia il suo genere di appartenenza.

Il primo motivo, dunque, e il più importante, è che il genere maschile è, innegabilmente, portatore di un privilegio. Ogni qual volta una persona si identifica o viene identificata come appartenente al genere maschile, questo comporta nelle persone che leggono o ascoltano questa identificazione una presa di posizione rispetto al suo genere e l’attribuzione di un bias (ma se non le piace l’inglesismo: di un pregiudizio).

È noto, in questo senso, uno studio (Moss-Racusin et al., PNAS, 2012)[1] nel quale ad un pool di scienziatɜ sono stati sottoposti dei curriculum vitae identici, tranne per l’unica differenza del nome dellə candidatə: Jennifer o John. Il risultato è che, a prescindere dal genere della persona addetta alla selezione, “Jennifer” è stata considerata meno competente di “John” e quindi meno probabilmente sarebbe stata assunta. Anche qualora “Jennifer” fosse stata assunta, lo stipendio medio iniziale che le sarebbe stato offerto sarebbe stato inferiore di oltre il 12% rispetto a quello di “John”.

Credo sia ovvio, quindi, quanto è importante poter usare una declinazione non correlata all’identità di genere della persona di cui si parla, tanto più proprio in un documento del tipo di quelli di cui lei parla.

Il secondo motivo è meno rilevante e lascio alla sua curiosità di approfondire leggendone nella pagina summenzionata del sito Italiano Inclusivo, se vorrà.

Come vede, in ogni caso, non c’è proprio nulla di gratuito in quello che lei chiama «impulso alla generalizzazione». Questa generalizzazione, al contrario, può avere un enorme valore antidiscriminatorio.

3. Natura destrutturante dell’innovazione

Lei afferma che l’uso della schwa autorizzerebbe «chiunque, d’ora in poi, a redigere un atto pubblico in emoji o in volgare duecentesco, o magari a disseminarlo di ke, xké o qlc1 (invece di che, perché e qualcuno).»

Sinceramente: a me sembra che il parallelo non regga. Ci sono delle ragioni ben chiare e da noi esplicitate, fra cui quelle di cui abbiamo parlato poco sopra e molte altre, per le quali questa proposta è nata. Se un atto pubblico viene redatto utilizzandola è perché lɜ suɜ estensorɜ hanno ritenuto valide queste ragioni.

E, d’altra parte: se non redigiamo più atti in volgare duecentesco è perché la lingua, da allora, si è evoluta. Perché mai non dovrebbe continuare a farlo, magari accogliendo nel suo spazio semantico una possibilità in più, quale quella fornita da questa proposta?

4. Disorientamento normativo

Su questo, mi creda, fatico a capirla. C’è un’intera sezione del sito Italiano Inclusivo che riporta una proposta di regole grammaticali che è possibile utilizzare per scrivere, appunto, in italiano inclusivo. Grazie a queste, appunto, è possibile concordare «articoli, preposizioni articolate, pronomi, aggettivi e participi passati».

Certo, la nostra non è che una proposta e le regole grammaticali definitive le deciderà l’uso dellɜ parlanti; quindi è vero che attualmente c’è una certa “elasticità” nell’uso: ma non è forse così in ogni evoluzione di ogni lingua?

5. Illegittima pretesa di una minoranza

Innanzitutto: un moderno principio etico piuttosto condiviso è quello che le minoranze siano degne di tanto rispetto quanto le maggioranze; quindi il fatto che la supposta “pretesa” sia di una minoranza, chiaramente, non fa alcun testo.

Ma non solo: se per minoranza lei intende le persone non binarie: sì, sono una minoranza. Ma quante sono le persone che, pur non essendo non binarie esse stesse desiderano che ci si rivolga alle persone non binarie in modo appropriato secondo il loro genere? Molte, molte di più: tutte le persone spinte da valori forti contro le discriminazioni; tutte le persone che hanno a che fare con persone non binarie e hanno bisogno di un modo per parlar loro e di loro in modo rispettoso. Difficile quantificarle, ma sospetto che potrebbe non trattarsi più una minoranza.

Detto ciò, parliamo però di questa supposta “pretesa”.

Lei, Professore, immagino chieda che ci si rivolga a lei al maschile: mi corregga se sbaglio. Ecco, ritiene la sua richiesta illegittima? Non credo. Chiede solo rispetto per quella che ritiene essere una questione per lei rilevante: il suo genere.

Di questo si tratta: non di una pretesa, ma di una richiesta di pari rispetto del desiderio di qualsiasi persona di essere indirizzata come più ritiene giusto.

6. Estensione all’italiano parlato

Sembrerebbe che lei ritenga più rilevante “salvare” l’italiano dal modificare la propria fonetica in senso meridionale/mediano rispetto al tutelare le esigenze di persone in carne ed ossa, e su questo ovviamente abbiamo priorità differenti: in noi prevarrà sempre il rispetto degli esseri umani piuttosto che di un concetto, per quanto meraviglioso possa essere, qual è quello di una lingua.

Ma fra l’altro lei erra anche in senso geografico: la schwa è presente, è vero, in parlate, lingue e dialetti del centro-sud quali il napoletano e il ciociaro, ma altrettanto lo è in piemontese e nelle varianti orientali dell’emiliano-romagnolo.

7. Cancellazione dei femminili

Questo è un fraintendimento molto diffuso. Avere la possibilità di esprimere con una terza declinazione le persone che non si riconoscono nelle due declinazioni binarie non impedisce a chi lo desideri di usare il femminile.

L’uso della declinazione inclusiva nel plurale o nell’indirizzo generico, invece, al contrario del maschile inclusivo, include non solo il femminile, ma ogni altra identità di genere.

Ciò che lei propone, invece, ovvero di nominare ogni volta entrambi i generi binari, esclude ogni genere che non sia uno di quei due.

E allora: certo, potremmo ricorrere all’inclusione di ogni genere, compresi quelli non binari, ogni volta che non si possa ricorrere ad una parola epicena. «Buongiorno a tutti, a tutte e a tuttɜ». Ma si rende conto di quanto farraginoso diventerebbe ogni testo, ogni discorso?

Le lingue tendono a prediligere l’economia. Questa proposta di italiano inclusivo va proprio in quella direzione.

8. Aggravamento di disturbi neuroatipici

È vero: l’aggiunta di questi due caratteri, la “ə” e la “ɜ”, potrebbe causare ulteriori difficoltà alle persone dislessiche. Purtuttavia, difficoltà non dissimili da quelle che già causano alcune lettere del nostro alfabeto, quali “p”, “q”, “b” e “d”, oppure “u” ed “n”, o ancora “l” (L minuscola) e “I” (i maiuscola). Eppure, nessunǝ si sognerebbe mai di chiederne l’abolizione perché… ci servono per comunicare. Stesso motivo per cui ci servono la “ǝ” e la “ɜ”.

E non solo: non esistono discriminazioni di serie A e di serie B. Se la tutela delle esigenze delle persone con difficoltà di lettura è assolutamente importante, non può però andare a discapito della battaglia contro le discriminazioni basate sul genere.

9. Danni ai pubblici doveri di trasparenza linguistica

Lei afferma che l’uso dell’italiano inclusivo pregiudicherebbe intelligibilità e chiarezza nei documenti ufficiali.

Ora: forse io sono più ottimista di lei sulla capacità delle persone che parlano il nostro idioma di adattarsi ad un’evoluzione così semplice da acquisire.

Ma ancor di più: non ha mai pensato che l’italiano inclusivo, al contrario, potrebbe rendere più chiare certe comunicazioni? Qualsiasi comunicazione che utilizzi il maschile non è chiara: ci si sta riferendo ai soli uomini o si sta utilizzando il maschile sovraesteso e si intendono includere anche le altre identità di genere? Ecco: l’italiano inclusivo può essere uno strumento semplice, eppure estremamente efficace, per aumentare la trasparenza linguistica, altro che pregiudicarla.

10. Aumento del disordine prodotto dalla moltiplicazione incontrollata delle marche di genere

Vero: fino all’avvento della schwa si è assistito a una proliferazione delle marche di genere. Questo perché la prima storicamente utilizzata, l’asterisco, non aveva un corrispettivo fonetico. E allora sono nate varie proposte per cercare di supplire a questa carenza.

Nella mia percezione, tuttavia, da quando è nata la proposta basata sulla schwa, mi sembra che questa – forse perché supera molte delle difficoltà delle altre proposte, forse grazie al clamore mediatico che ha avuto anche grazie a persone come lei – sembra si stia diffondendo sempre di più rispetto alle altre.

Credo che, com’è naturale nelle lingue, un giorno, forse presto, si convergerà verso una modalità unica. Potrebbe essere la schwa, potrebbe essere una proposta ancor migliore di questa. Ma credo proprio che questo “disordine” sia solo un fenomeno temporaneo, in attesa che l’italiano si stabilizzi e standardizzi su un’unica modalità inclusiva.

La ringrazio ancora per l’opportunità fornitami dal suo decalogo e rimango a disposizione per qualsiasi delucidazione lei desideri.

Cordiali saluti,

Luca Boschetto


[1]Science faculty’s subtle gender biases favor male students, Corinne A. Moss-Racusin, John F. Dovidio, Victoria L. Brescoll, Mark J. Graham, Jo Handelsman, Proceedings of the National Academy of Sciences Oct 2012, 109 (41) 16474-16479; DOI: 10.1073/pnas.1211286109