12 ottobre 2021 – Raffaele Simone su Domani: “Lo schwa è frutto dell’illusione sul potere della grammatica”

13 Ottobre 2021 Off Di Italiano Inclusivo

Su Domani il linguista e saggista Raffaele Simone scrive l’articolo Lo schwa è frutto dell’illusione sul potere della grammatica.

Pur tralasciando alcuni scivoloni banali (una persona transessuale, a dir di Simone. sarebbe discriminata se chiamata “presidente” che invece, come tutti i sostantivi e gli aggettivi derivati da participio presente, è parola epicena), sono i contenuti sostanziali che stupiscono.

Fra le affermazioni infondate di Simone il fatto che la schwa sarebbe “un elemento puramente grafico”. Noi che ci occupiamo di italiano inclusivo sappiamo bene che, se questa nostra proposta sta progressivamente prendendo piede al posto dell’asterisco, è anche – e forse soprattutto – perché è una vocale pronunciabile, al pari delle altre.

Simone afferma poi che la schwa non può essere una soluzione perché non esiste in italiano: ma se non esiste nell’italiano di ieri, non significa che non possa esistere in quello di domani.

Dimostrerebbe poi che è impraticabile perché Flavia Fratello ha fatto fatica a pronunciarla. Ma ovviamente questo significa solo che, come tutte le novità linguistiche, si ha bisogno di un po’ di pratica per acquisirla pienamente. Ci chiediamo se Simone, la prima volta che ha tentato di pronunciare una parola in una lingua nuova che stava imparando, l’hanno scambiato subito per una persona madrelingua

Ma, soprattutto, e qui forse viene il punto più importante: per l’ennesima volta leggiamo un’accusa di “imposizione” di una modifica alla nostra lingua. Se c’è qualcosa di bello nella proposta di italiano inclusivo basata sulla schwa è che è una proposta linguistica che parte dal basso, da una singola persona che aveva il problema di esprimere nella propria lingua madre un concetto non previsto dallo spazio semantico della stessa. Ha ritenuto le soluzioni esistenti insufficienti e ha pensato alla schwa. Dal basso, senza nessuna imposizione, questa soluzione si è diffusa prima nelle comunità più sensibili al tema e poi, via via, sempre più ampiamente.

Nessuna imposizione, quindi: lo stesso meccanismo naturale di sempre di evoluzione delle lingue.

In chiusura dell’articolo, un pezzo di benaltrismo da manuale: certo che c’è ben altro da fare perché la nostra società perda il maschilismo dilagante che la attanaglia. Ma c’è anche ben altro. E scrivere che “C’è altro prima” non è null’altro che benaltrismo, giacché l’una battaglia non ostacola per nulla l’altra; anzi, magari la coadiuva, perché rende palese un problema di cui moltɜ non hanno neppure ancora consapevolezza.

In ultimo: sarebbe stato meglio che Simone si fosse documentato meglio prima di scrivere di persone trans. La maggior parte di loro penano a lungo prima di poter essere riassegnate, anche legalmente, al genere corrispondente alla propria identità. Non è per loro, quantomeno quelle di loro che si identificano in un genere binario, che è nato l’italiano inclusivo basato sulla schwa.

Abbiamo avuto un breve scambio epistolare con Simone a seguito di quest’articolo e ci ha tacciati di cercare di insegnargli il suo mestiere.

Il problema è che quello dell’italiano inclusivo non è un problema linguistico: è un problema che investe l’ambito sociologico e psicologico, e solo come conseguenza quello linguistico. Ma continuiamo a vedere un sollevamento di scudi reazionario da parte di chi (fra cui Simone e D’Achille) si avvale della propria autorevolezza in linguistica per tentare di soffocare una proposta nata dalla base dellɜ parlanti. Noi non siamo del mestiere, è vero, ma ci sembra che non sia questo il mestiere di unǝ linguista.